La scrittura è uno strumento che si trova storicamente ad intersecarsi coi rapporti di potere. All’affacciarsi del secolo XII inizia la transizione da una cultura quasi esclusivamente orale ad una cultura visiva, cosa che porta ad un’esistenza congiunta e complementare della trasmissione per via verbale e di quella per via scritta. L’invenzione della stampa porta al coronamento di tale centralità della parola scritta. Ciò che va sottolineato ora è come fosse il potere costituito a determinare la mentalità alfabeta della comunità. In una realtà prettamente analfabeta, erano le istituzioni ad utilizzare il congiunto di trasmissione orale e scritta al fine di comunicare ai sudditi i testi, le normative, le leggi che si aveva il bisogno di divulgare (all’atto pratico ciò consisteva in una lettura totale o parziale del testo creando una situazione di stampo cerimoniale). Tali documenti venivano poi affissi in luoghi pubblici, rappresentazione fattuale dell’esistenza delle normative, degli statuti, delle leggi; era quindi il potere a determinare la funzione stessa della scrittura.
Agire in tal modo era per il potere costituito anche una celebrazione di sé stesso: anche nel caso in cui la maggioranza dei componenti di una comunità non fosse alfabetizzata, non sempre era nel contenuto dello scritto ciò che è importante; ad essere centrale poteva essere la sua funzione di segnale di dominio o di grandezza del potere. La cura artistica e grafica del segno era pianificata e di carattere simbolico per conferire allo stesso un’aura di solennità.
Col progressivo alfabetizzarsi della società, ci fu un fiorire di scritture esposte (con questo termine si intende quello scritto posto in spazi che permettano una lettura di massa su una superficie esposta, ad esempio un muro). Nel ‘600 non era raro trovare sulle pareti scritture non poste dall’autorità né presenti per celebrarlo, ma finalizzate alla critica o al dissenso. Lo spazio urbano diventò cosi uno strumento utile alla circolazione della comunicazione. Altra tipologia di scritture che sfuggivano all’autorità erano le scritture contenenti infamie, insulti, parole lascive. Per la repressione di entrambe le categorie, le istituzioni fossero esse temporali o spirituali, si muovevano per eliminarle. Non si trattava per forza di un’azione “istituzionale” da parte del potere: la storia presenta più e più casi in cui figure di potere indignate da tali scritte incitarono o organizzarono le élite per intervenire muniti di spazzola in difesa della decenza, della devozione a Gesù e del disamore per la bruttura.
Impossibile ora non tracciare un parallelismo tra l’indecenza invocata nel ‘600 e il degrado di cui ci si riempie la bocca alla vista di una scrittina sul muro. A che fine abbattere la funzione storica della scrittura esposta popolare? L’unica risposta plausibile sta nella storica volontà di dominio totale dello spazio grafico da parte delle istituzioni, anche se si trovano ad essere, ovviamente, in possesso della maggior parte degli spazi grafici pubblici.
La domanda da porsi a questo punto è se si desidera essere quegli uomini di Chiesa seicenteschi che andavano a pulire le strade “in difesa dell’onore di Dio” o se si ambisce ad altro al di là di questo grigiore.