Oh! Signor dottore, come l’ha intesa? L’è proprio tutta al rovescio

Ore 19:50 di lunedì 15 aprile, crolla sotto le fiamme una guglia della cattedrale di Notre Dame. Irreparabile colpo al cuore di panna collettivo dell’Occidente, elemento architettonico più caratteristico della cattedrale! Tutto vero, non fosse che quella guglia era stata smontata a fine ‘700 per essere ricostruita da Eugène Viollet-le-Duc nel 1860.

Eugène, un signore, uno storico dell’arte, un restauratore che nella vita puntava non al mantenimento o alla riparazione dell’edificio, ma al “ristabilirlo in uno stato completo che può non essere mai esistito in nessun momento”. Eugène aggiungeva, distruggeva opere posteriori non “medievali” che non aderivano al supposto “stato completo”. Ohibò, dov’è allora l’opera che non può morir mai, di fronte alla quale dobbiam piangere se brucia un pezzettin del suo codin? A pensar male si fa sempre bene, pare che più che reale, l’idea d’opera immortale sia un fantasma cui riferirsi con morbosità religiosa dopo la caduta degli dèi.

Notre Dame in fiamme e l’angoscia per la fine del mondo, tutto pare crollarci addosso, tutti che annaspano. Attacchi di panico, qualcuno si riscopre ecologista, qualcun altro cerca qualche gibbo del terreno cui aggrapparsi; occhi lucidi rivolti ad uno sfocato passato mitico, lo vedono cadere assieme alla guglia. La guglia di Eugenio che produceva un passato, medioevo immaginario, che non possiamo escludere ora avrebbe idea di rifarla aggiungendo pure un paio di gargoyle (esattamente come ha aggiunto tutti gli altri).

L’angoscia per la fine del mondo e stringersi nella tragedia collettiva; contro la solitudine ci si scalda al fuoco della nostra storia. Storia che non c’è, storia che è sempre storia di oppressi e oppressori, che diventa storiografia che la guarda con 1000 sguardi diversi. Non troveremo la “memoria” condivisa nemmeno specchiandoci nel medioevo; dispiace, dovremo scaldarci con qualcos’altro.

L’unica chiesa che illumina è quella che brucia, ma dalla cattedrale, spenta o accesa, non è obbligatorio cercare illuminazione. Notre Dame è come tanto segno dell’esistenza e della produzione dell’elemento umano, oggetto cui si possono lanciare occhiate interessate per l’una o per l’altra ragione (storica, architettonica, …). La distruzione sta nello spezzarsi della catena che costringe la vita nella miseria. I suoi simboli fatti a pezzi esaltati come oggetto fine a sé stesso, li obbliga nello spettacolo. Tutto attorno a noi è segno di potere; le nostre città, la disposizione dei loro elementi sono l’esplicitarsi del potere. L’iconoclasmo non è la via: se deve bruciare, che bruci tutto, la priorità non è delle chiese.